Chi vince le elezioni diventa padrone delle istituzioni, Costituzione compresa?

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di Alberto Venturi

Perché stupirsi? Chi ha il potere ha bisogno di altro potere per conservarlo e sia i leader che il popolo chiedono filiere di comando corte, il secondo illudendosi così di tenere a bada i loro capi.

 

E’ da molti anni, che i governi d’ogni colore tentano di accorciare la filiera del comando, come reazione alla lentezza burocratica, ai conflitti di competenze, all’affollamento parlamentare e alla sua incapacità di decidere, se non con tempi storici e con mediazioni che annacquano ogni riforma.

La seconda repubblica è stata caratterizzata, salvo qualche lodevole tentativo in direzione opposta, da un costante accentramento di tutte le funzioni. Perfino la Lega, che del Federalismo aveva fatto il suo cavallo di battaglia, nella stanza dei bottoni ha finito per spingere quello della centripeta.

Il fenomeno è avvenuto a tutti i livelli: i sindaci sono oggi molto più potenti di ieri e nel caso di sindaci dei capoluogo di provincia, troppo potenti.

In queste settimane è in ballo la Rai, il cui controllo passerà dal Parlamento al Governo; il sistema impositivo ha cancellato la più importante imposta comunale (l’Ici poi Imu) incamerando a Roma le entrate e decidendo poi la loro ridistribuzione con criteri del tutto provvisori e talvolta astrusi; cala l’autonomia delle Regioni; per ogni tema c’è un’autorità statale di controllo, un ufficio romano, un commissario straordinario, che fanno sempre capo all’esecutivo. Intanto si lavora già per dare un volto all’articolo 49 della Costituzione in riferimento ai partiti e per riformare la rappresentanza sindacale. Di sicuro non per incrementarne l’autonomia e la capacità di incidere.

Del resto chi ha potere ha bisogno di ulteriore potere per conservarlo. Perché stupirsi allora se in questo contesto si cerca di adattare la Costituzione affinché consenta una filiera di comando cortissima, in mano al leader e ai suoi collaboratori? Soltanto qualche giorno fa Pierluigi Bersani ha definito l’Italicum “un modello iper-maggioritario con parlamentari per lo più nominati e senza che si capisca chi li nomina” e per il velenoso D’Alema: “E’ un’altra occasione mancata: si dovevano abolire le province e invece si è abolito il voto per le province. Si poteva abolire il Senato e invece si è abolito il voto per il Senato”.

Ho letto un interessante articolo di Antonio Massimo Calderazzi, di un anno fa, che richiamava una citazione di Alessandro Sallusti: alle Idi di marzo Bruto e 60 senatori pugnalarono Giulio Cesare perché ‘il dittatore democratico, nel senso di amato dal popolo, stava demolendo la componente oligarchica ossia senatoriale della sovranità romana. Ammazzare Cesare non servì. Un paio d’anni di guerra civile e il nipote Caio Giulio Cesare Ottaviano trionfò, primo imperatore dinastico. La Repubblica degli Ottimati morì davvero’.

Secondo me, oggi come allora e come è stato nel Medioevo, dopo l’età comunale, la società sente il bisogno di dare un volto all’autorità, illudendosi così di poterla più facilmente giudicare. Anche la gente chiede una filiera corta fra sé e il capo, ma se nell’epoca dei partiti la ‘legittimazione’ veniva dalla base,  oggi sono i leader a legittimare i propri sostenitori, raccolti in aggregazioni sempre più liquide e sempre meno strutturate. 

di Gianni Galeotti

Le istituzioni sono di tutti, di chi è al governo e di chi è all’opposizione. La cosa grave è che questa volta, vittima di questa vostra concezione, è la nostra Costituzione.

(Intervento dell’allora On. Sergio Mattarella alla camera dei Deputati, il 20 ottobre 2005 in occasione del voto sul Ddl di revisione costituzionale del centrodestra)

 

Stando a quanto di assolutamente anomalo è accaduto nell’ultimo anno di vita politica ed istituzionale Italiana, la risposta alla domanda ‘Chi vince le elezioni diventa padrone delle istituzioni, Costituzione compresa?’, la risposta è assolutamente SI. Anzi, se ti chiami Renzi, e sei segretario del PD, l’eccezione diventa prassi istituzionale dimostrando che basta molto, ma molto meno. Per governare ed essere legittimato a mettere mano alla Costituzione non importa nemmeno vincere le elezioni e nemmeno parteciparvi. Basta vincere le primarie del proprio partito ed il ‘gioco’ è fatto. Senza elezioni ci si trova ad essere nominato (non eletto) Presidente del Consiglio. E nemmeno più a tempo, per gestire una fase di emergenza, come fu per Monti ed il suo governo, ma per un’orizzonte di legislatura, di cinque anni. Esattamente come se si fosse stati eletti e si godesse del mandato espresso dal popolo Italiano. Un’anomalia democratica tutta Italiana, in una deroga costante e di fatto ai principi Costituzionali ed alla sovranità popolare, che non ha precedenti; un’anomalia che, pensavo, Renzi, forte del suo crescente consenso, della sua popolarità, del fatto di avere dalla sua Europa e lobby industriali (dalla Fiat a Confindustria) e di non avere un’opposizione politica (il centro destra per un terzo al governo e per due terzi inesistente), si prendesse la responsabilità di sanare, portando il Paese e nuove elezioni, sicuro al 100% di vincerle. Invece no: è successo che il Presidente del Consiglio nominato ed un Parlamento eletto con una legge giudicata incostituzionale, composto da Parlamentari scelti dalle segreterie di partiti e non dai cittadini, decidesse di cambiare la Costituzione e contestualmente la legge elettorale. Per lo più a colpi di maggioranza, con ben poco, anzi nulla, di quell’ampia condivisione richiesta se non necessaria, e per lo più in una direzione che riduce ulteriormente, e paradossalmente, gli spazi della democrazia. Il Senato, frutto della riforma, non sarà infatti più eletto dai cittadini mentre la nuova legge elettorale, frutto della riforma, garantirà ai partiti, e non ai cittadini, la scelta dei capilista e quindi di gran parte dei futuri parlamentari.

 

Sugli testa dell’Italiano medio, poco avvezzo alla rivoluzione, se non quella da bar e da salotto, e soprattutto disgustato dalla politica ed interessato più al problema di come arrivare fine mese, si sta consumando la graduale instaurazione di una ‘repubblica dittat
oriale’, costruita nelle regole, seppur tirate, della democrazia, retta da una maggioranza parlamentare ma non popolare, guidata da un partito (oggiAggiungi un appuntamento per oggiè il PD e domaniAggiungi un nuovo appuntamento per domani potrebbe essere il PD o qualsiasi altro), che da solo cambia addirittura le regole del gioco, cristallizzando il proprio potere all’interno delle istituzioni e limitando sempre più gli spazi per una democrazia dell’alternanza. Il problema è che quando quando questi spazi si perdono difficilmente potranno essere recuperati. Perché faranno comodo e saranno riempiti ed utilizzati da chiunque governerà.

 

Con la scusa/slogan che modificando la Costituzione si risolverebbero molti dei problemi italiani, chi governa cerca legittimazione non solo al tentativo di cambiarla ma di procedere al graduale e malcelato smantellamento di quel delicato sistema di pesi e contrappesi tra poteri istituzionali che da sempre trova nella Carta Costituzionale il proprio bilanciamento. Il problema non è però l’inadeguatezza della Carta Costituzionale (che non è nemmeno tanto vecchia), ma di una politica talmente incapace, senza visione, dallo sguardo così limitato ai propri interessi contingenti e di bottega, e talmente arrogante da volerla cambiarle a suon di maggioranza in un aula vuota. E’ questo non è un bel quadro, soprattutto agli occhi delle nuove generazioni.

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