di Alberto Venturi C’è chi chiede la revisione degli “”Accordi di Schengen”” e chi si oppone ad essa. Premetto che non ritengo sostenibile la posizione dell’on. Scilipoti di Forza Italia, tesa a rivedere gli Accordi di Schengen perché, essendo i nuovi terroristi di nazionalità europea soltanto un livello di controllo nazionale può rappresentare un vero ostacolo al terrorismo. Allo stesso modo, la lotta alla clandestinità, pure giusta perché non tollerabile in un contesto di legalità, non servirà a combattere le forme di estremismo; da che mondo è mondo, attentati ed omicidi politici sono compiuti da persone in regola con la cittadinanza e assolutamente anonimi nella loro vita quotidiana.
Comunque la revisione di qualsiasi patto internazionale, per poterlo aggiornare alle esigenze che vengono manifestandosi, dovrebbe essere prassi consolidata; questo vale anche per gli Accordi di Schengen, ma spero che nessuno si illuda di ostacolare il terrorismo riaprendo qualche dogana, né di bloccare i flussi migratori contemporanei, tanto meno arginare i movimenti fra le nazioni per lavoro e per turismo, per cui malintenzionati e terroristi avranno comunque un lasciapassare, anche se provvisorio.
Invece, operare in un unico territorio, può costituire una straordinaria opportunità se esiste un coordinamento e flusso di informazioni fra le forze di sicurezza; a livello italiano cominciamo a superare il numero di corpi di sicurezza fra loro divisi, se non in concorrenza e rendiamo stringente e permanente la collaborazione a livello europeo. Incentiviamo il controllo della moneta (i terroristi hanno bisogno di soldi) attraverso la visibilità dei depositi e dei movimenti bancari, superando forme di anonimato che hanno caratterizzato la finanza di diverse nazioni europee.
Ogni volta, a posteriori, emerge che erano state diramati segnalazioni o avvertimenti, persi nell’infinita quantità di informazioni quotidianamente veicolate, il classico ago nel pagliaio e se nelle piccole comunità il miglior presidio è quello locale, nelle città e nelle metropoli tutta diventa pressoché impossibile. Resta perciò aperto il tema dei controlli attraverso le banche dati, con il piatto della bilancia ora spostato verso la privacy ed ora verso la sicurezza; ne sappiamo qualcosa in Italia con il diffondersi delle intercettazioni, strumento indispensabile nella lotta alla criminalità, ma arma di ricatto e di potere quando lo si usi nel modo sbagliato. In teoria ogni allentamento della privacy dovrebbe accompagnarsi all’irrigidimento delle norme per la repressione degli abusi, ma è un terreno scivoloso e pericolosissimo.
Per una volta sono d’accordo con il ministro Alfano e con Gentiloni quando si dicono contrari a chiusure “perché si tratta di una grande conquista di libertà che non può essere regalata ai terroristi e dunque va bene rafforzare il sistema di informazione, ma senza arretrare”. Più che riaprire le dogane (con quelle file di auto lunghe chilometri e guardie che danno un’occhiata superficiale ai documenti) occorre incentivare i controlli a campione su tutto il territorio, introdurre sistemi telematici per monitorare gli spostamenti dei veicoli. Non sarà un percorso facile e sarà necessario prevedere qualche altra stazione dolorosa, ma cedere significa alimentare la contrapposizione ed è quello che vogliono. |
di Gianni Galeotti C’è chi chiede la revisione degli accordi di “”Accordi di Schengen”” e chi si oppone ad essa. La soluzione migliore, forse, sta nel mezzo. Quando mio figlio diciottenne, una settimana fa, mi ha chiesto: ‘che cos’è sto Schengen di cui parlano sempre alla TV?’ gli ho semplicemente e genericamente risposto che è quel trattato che oggi consente la libera circolazione dei cittadini europei all’interno del territorio europeo. Per fare un esempio concreto degli effetti di Schengen gli ho citato il fatto che ‘una volta’ (e li mi sono sentito vecchio) per passare la frontiera, anche in Europa, serviva il passaporto mentre oggi, grazie a questo accordo, non più. Grazie al trattato ratificato nel 1985 da pochi stati ed oggi esteso a 26 Paesi, Italia compresa (dal 1997), sono stati aboliti i controlli sistematici alle frontiere interne dei paesi aderenti all’area Schengen mentre sono rimasti obbligatori, e teoricamente dovrebbero essere stati potenziati, quelli alle frontiere esterne. Di fatto, il confine tradizionalmente inteso, non è più quello tra due stati della stessa area Schengen (p.e Italia e Francia), ma tra qualunque di questi Paesi con altri non appartenenti all’area Schengen. In questa logica, lo straniero che dall’Africa arriva in Italia non varca più il confine dell’Italia ma il confine dell’Europa ovvero di quell’Europa definita appunto dall’area Schengen. Da qui anche la discussione e le polemiche sui compiti dell’Italia e dell’Europa nella gestione dei flussi migratori e degli sbarchi in un Paese come l’Italia i cui confini a sud combaciano, geograficamente e politicamente, con quelli dell’Europa. L’accordo, in questa visione, rappresenta per me una delle poche tracce di un Europa politica, intesa come Stati Uniti d’Europa, e sicuramente una conquista in termini di libertà, per i cittadini degli stati membri. Grazie all’accordo di Schengen, più di 400 milioni di europei possono viaggiare senza passaporto. Ogni anno si registrano più di 1,25 miliardi di viaggi turistici; si possono visitare amici e parenti in tutta Europa senza ostacoli burocratici alle frontiere interne. E’ ovvio che questa libertà di circolazione all’interno dei confini d’Europa si scontra con le esigenze di sicurezza interna ed internazionale, soprattutto in periodo di emergenza e crisi come questo, caratterizzato da un alto livello di allerta legato sia ad enormi flussi migratori da Paesi non facenti parte dell’area Schengen e sia a fenomeni legati al terrorismo internazionale. La libertà dei cittadini onesti non deve essere sacrificata ma non può nemmeno tradursi in una maggiore libertà e garanzia per i terroristi. Venendo ai giorni ai nostri, infatti, il punto in discussione riguarda proprio la libera circolazione anche di persone potenzialmente pericolose. Su que Lasciando stare il modo discutibile con cui stati come la Germania, e recentemente anche la Francia non si sono fatti scrupoli a rispedire al ‘mittente’ (leggi, Italia), immigrati extracomunitari e profughi sbarcati nel nostro Paese ed intenzionati a raggiungere Francia o Germania, applicando (o meglio disapplicando) il trattato, il problema oggi rimane uno: è opportuno ed utile limitare un diritto acquisito per milioni di europei di potere circolare liberamente in tutti i 26 stati dell’area Schengen per limitare (o meglio controllare) la circolazione di persone sospettate e potenzialmente pericolose? Forse la risposta sta nel mezzo, ovvero nella possibilità di sospendere temporanemente gli effetti del trattato. E’ possibile farlo. Uno stato membro di Schengen può sospendere l’uso del trattato per un limitato periodo, ma deve seguire una certa procedura; solitamente si ricorre quando uno stato vuole rafforzare le misure di sicurezza nel caso esso ospiti importanti eventi. In Italia, infatti, è successo in occasione del G8 ma potrebbe essere fatto anche in occasione di situazioni come quelle che stiamo attraversando, per le quali si ravvisano oggettivi pericoli per la sicurezza, derivanti da minacce, non solo dall’esterno ma anche dall’interno. Una cosa è certa. Di fronte alla minaccia terroristica, qualsiasi sia la decisione, anche rispetto ad una sospensione temporanea, è necessario che questa sia presa in modo univoco. La frammentazione risulterebbe come un ulteriore segno di debolezza dell’Europa rispetto alla minaccia stessa e l’Europa, in questa fase, ha bisogno di tutto ma non di mostrarsi ancora più debole e frastagliata di quello che già desolatamente è. |