Scrivevo il 5 febbraio scorso che “è cambiato uno su mille”, smorzando gli universali entusiasmi per l’arrivo di Draghi. Gli altri 999, i nostri parlamentari, sono ben piantati lì e si sono rifatti vivi con la scelta dei viceministri e sottosegretari.
Non è tanto l’uso del manuale Cencelli a preoccuparmi (scegliessero persone competenti e capaci, il patacchino di partito mi preoccuperebbe poco), ma il suo utilizzo per sistemare le caselle in base al potere e agli equilibri interni, come mi pare sia invece avvenuto.
Basterebbe citare la Borgonzoni al Ministero della Cultura, tra l’altro un perseverare avendo già ricoperto l’ incarico nel primo Conte; noi emiliano-romagnoli ce la ricordiamo bene, visto che ci faceva confinare con il Trentino. Le va riconosciuto il merito comunque di essere stata un candidato alla regione talmente improbabile da spingere alla nascita delle Sardine.
Oppure che Forza Italia copra le caselle dell’editoria e della giustizia, tanto per cominciare subito con i conflitti di interesse.
Come scrivevo, “cambia il primo ministro, ma non cambiano i mille attorno a lui, compresi i populisti e gli apprendisti stregoni (ricordiamolo sempre; li abbiamo eletti noi); saranno loro a votargli la fiducia e saranno loro a scegliere il prossimo governo”. Come sta accadendo.
Draghi si preoccupa di presidiare alcuni temi emergenziali e fondamentali legati alla pandemia, al Recovery e all’economia. Il resto è lasciato ai partiti; gli stessi di prima, con la differenza che ora sono quasi tutti nella stanza dei bottoni.
Non si cava sangue da una rapa.