Tanto per non passare da scemo, esprimo il mio personale parere su alcuni rilievi giunti in redazione da parte di Emmeci.
Cito a tale scopo (quello di non passare per scemo) alcuni suoi periodi:
“… in questi ultimi anni, ho preso parte a quello ch’io pensavo fosse un dibattito e che invece era qualcosa di diverso. Direi qualcosa a metà, per l’appunto, tra il culto pagano e la fiera delle vanità (due territori che spesso si sovrappongono, diventando indistinguibili).”
È curioso che Emmeci abbia scambiato per ben due anni il dibattito che si manifesta su Bice con articoli e commenti per “qualcosa a metà, per l’appunto, tra il culto pagano e la fiera delle vanità”. È curioso perché la sensazione che ho provato quasi sempre (e forse non sono stato il solo) leggendo i suoi interventi, è stata la stessa: culto pagano autoreferenziale e fiera della vanità.
In molti hanno anche cercato di farglielo capire, sia dicendogli di scendere dal piedestallo su cui sistematicamente pretendeva di rimanere, sia invitandolo a leggere con maggiore attenzione ciò che era scritto da altri, senza recitare sempre e solo a soggetto davanti allo specchio. Purtroppo i molti non hanno avuto fortuna, non sono stati ascoltati e il risultato è stato duplice: egli da un lato lamenta di non avere capito in tempo che il presunto amore era un calesse e dall’altro ancora una volta accusa gli avversari (forse dovrei dire nemici, per come tratta gli interlocutori) di ciò che invece egli stesso ha perennemente manifestato nei suoi scritti: vanitas vanitatum, et omnia vanitas.
Un altro concetto che è ostico per Emmeci riguarda alcune differenze che a me paiono sostanziali e che egli evidentemente considera formali o insussistenti. Per far comprendere ai Lettori cito un altro periodo: “Noto ora che, grazie a X. Yyy, gran campione di ortodossia mariana, già è stato iniziato il primo processo di beatificazione: quella – meritatissima – dell’ottimo (ormai quasi Santo) Xxxxxxx zz Yyyyyyyyyy”. L’ironia, il sarcasmo, il dileggio, la causticità sono sempre ammesse: non hanno e non devono avere alcuna limitazione o censura. Purché però non siano rivolte alla persona, bensì ai pensieri, alle parole, alle opinioni espresse dall’interlocutore, dall’avversario o dal nemico che sia. Irridere, denigrare o anche semplicemente interferire contro chiunque, si chiami costui Franco, Massimo, Giovanni, Maria, Antonio, Amedeo etc., intesi come persone, è un fatto che indigna e ferisce, non solo il diretto interessato, ma anche coloro che conoscono quella persona, indipendentemente dal fatto che condividano o meno ciò che ha scritto. Il metodo di demolire l’avversario-nemico attaccandolo sul piano personale è sicuramente molto efficace ed è caro a coloro che lo hanno utilizzato sistematicamente per motivi ideologici; ma ormai Stalin e le sue purghe sono sepolti da decenni: non è giunta l’ora di smettere? Poiché conosco la difficoltà che Emmeci fa mostra di trovare nel recepire questo concetto proverò con un esempio semplice e di facile comprensione. Se io scrivessi in risposta ad un articolo: “Lei, caro signore, nel suo articolo ha sostenuto una colossale cretinata”, esprimo un parere in termini accesi su ciò che il signore ha sostenuto in quell’articolo. Il parere è circoscritto a quell’articolo ed è limitato nel tempo: può darsi che altrove o in altri articoli o commenti il signore abbia scritto cose condivisibili o eccelse: è universalmente riconosciuto che prendere abbagli o incorrere in errori anche gravi fa parte della natura umana. Se invece scrivessi: “Lei, caro signore, è un cretino di statura colossale”, denigro la persona (che la conosca o meno non ha importanza) e lascio intendere a chi legge che tutto ciò che dice o scrive quella persona ha il marchio dell’imbecillità, ora e sempre. Nell’esempio ho ovviamente esasperato i toni nella speranza di non essere frainteso e di non passare per scemo.
Ultima citazione: “Censuri pure anche questo intervento, caro Direttore, se v’intravvede qualcosa di blasfemo. Buona Xxxxx a tutti”. L’ho censurato e continuerò a farlo. Probabilmente sarò considerato censore (un insulto terrificante di questi tempi, ma è un epiteto che, come tanti altri, mi lascia del tutto indifferente), ma così penso, così è, così sia fatto e così sia scritto (un po’ di vanità faraonica non guasta con chi è aduso a montare in cattedra).
Siamo lieti di sapere che Emmeci tornerà di quando in quando a leggerci con tutta la simpatia che meritiamo: speriamo ardentemente di meritarcela sempre la sua simpatia, e ci auguriamo anche di non annoiarlo troppo con la nostra fiera delle vanità.
Accipe fraterno multum manantia fletu,
atque in perpetuum, frater, ave atque vale.