Aspettando Godot? No aspettando Obama.

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E’ in gioco un nuovo ordine internazionale che il nuovo Presidente dovrà contribuire a creare abbandonando l’attuale unilateralismo USA per cercare una forma di concertazione con il resto del mondo

“E’ necessaria una grande campagna strategica comunicativa per convincere il mondo intero che gli Usa intendono abbandonare l’unilateralismo di Bush – premette Doug Bandow nell’ultimo numero della rivista di studi geopolitici Limes – al fine di cooperare col mondo, tramite il dialogo, senza più prescindere da Ue, Cina, Russia, Giappone e Corea all’insegna dello slogan: le laissez faire c’est fini”.

Questa l’impellente priorità del neoeletto presidente Usa Barak Obama che dovrà convincere tutti i più importanti attori dello scacchiere internazionale che gli Usa non intenderanno più dare solo ordini, ma anche prestare ascolto a tutti i partner politici, poste le premesse del ritiro dall’Irak e dalla disastrosa avventura in Afghanistan. Una necessità imprescindibile ora che il mito della infallibilità militare Usa è tramontato forse per sempre trascinando con sè la superiorità morale degli Usa e  la sua unicità ed insostituibilità politica contraddistinta da un sistema economico –capitalistico – finanziario letteralmente imploso.

Insomma Obama deve ricostruire ed accreditare una nuova immagine degli Usa disposti a dare e non solo a ricevere ed a pretendere promuovendo una revisione sistematica improrogabile delle istituzioni economiche globali: insomma come autorevolmente ha asserito con piglio sicuro il presidente francese Sarkozy “Le laissez faire c’est fini”. “Cioè deve finire per sempre il tempo della “Reaganomics, la deregolamentazione –  incalza a sua volta Francesco Sisci sempre su Limes – la  cosiddetta deregulation, subdolo strumento di utilizzo della leva del debito pubblico per finanziare i sogni dell’edonismo reaganiano e di un’onnipotente America unipolare con l’Urss sull’orlo di una bancarotta senza precedenti e sfasciatasi in mille pezzi dando agli Usa un senso di onnipotenza che ha forse reso più labile il rapporto tra gli Americani e la realtà”. “Così come deve finire il tempo delle speculazioni finanziarie  – continua Sisci – e del credito facile  che ha consentito agli americani di continuare a spendere allegramente indebitandosi però sino al collo con banche che hanno avuto a disposizione danaro a buon mercato e forte propensione a fare investimenti fondati sul nulla: una totale libertà di manovra nella scelta della destinazione dei fondi su cui investire senza badare troppo, anzi ignorando la reale solidità delle attività finanziate. Con la tacita complicità di  un Alan Greenspan, presidente della Federal Reserve che (con responsabilità criminali) rifiutò di introdurre regolamentazioni severe sui nefasti derivati Subprime: “Le vere armi di distruzione di massa finanziaria” come ebbe a definirle con efficacia sarcastica l’autorevole analista Warren Buffet sul Washington Post il 20/ 10 2008.  “Insomma – riprende Sisci –  un mondo finanziario piratesco ultrafavorito, nel 1999, dall’abolizione della Legge Glass- Steagall introdotta nel 1933 per introdurre la fondamentale distinzione tra banche commerciali e quelle di investimento: distinzione abolita con una legge approvata con una schiacciante maggioranza bipartisan dal Congresso e poi convertita in legge dal presidente Clinton”. Forse il tanto osannato presidente Clinton che pure ha avuto il merito di contenere il debito pubblico statunitense ( che ha raggiunto il picco vertiginoso e straordinario di 10,6 trilioni di dollari e continua tuttora a salire) avrebbe dovuto forse pensare meno alle grazie della signorina Lewinsky per vigilare di più sulle alchimie fumose e truffaldine della finanza creativa degli avidi maghi di Wall Street.

Barak Obama ora eredita una situazione difficilissima, ma non del tutto compromessa “anche di fronte alla drammatica crisi in corso  – conclude Sisci –  è difficile immaginare una moneta o un paese che possano rimpiazzare il dollaro e l’America, almeno nel breve termine, (quantunque la Cina e l’India siano dietro l’angolo) e la crisi in atto dimostra che il dollaro e gli Usa non possono sostenere da soli il mondo intero: ne è la riprova il fatto che Washington cerchi un sostegno in Europa ed in Asia… Insomma la forza di persuasione degli Usa è seriamente indebolita e questo non può più essere compensato dalla potenza militare: sotto la minaccia delle armi, i proventi delle transazioni finanziarie diventano semplici rapine ed il mondo è diventato troppo grande e complesso per le risorse di cui gli Usa dispongono per cui è necessaria una qualche forma di concertazione… è in gioco un nuovo ordine internazionale che il nuovo Presidente Obama, che si insedierà ufficialmente il 20 gennaio, dovrà contribuire a creare: non potrà farlo da solo, ma potrebbe svolgere una funzione di guida. Diversamente, non saranno soltanto le banche americane a risentirne, ma il mondo intero”.  Articolo di Giulia Manzini, giornalista pubblicista dal giugno 2008.

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