Non so quante volte abbiamo denunciato il disinteresse della politica per la Sanità. Abbiamo evidenziato i danni che avrebbe creato il numero chiuso a Medicina e l’inadeguatezza per un paese civile di destinare appena il 6% del Pil alla salute . Ma i governi hanno altro cui pensare.
Abbiamo anche scritto che il sistema sanitario nazionale (SSN), che pure è un’eccellenza italiana, andrebbe ritoccato, sostenuto con maggiori risorse ed adeguato alle esigenze di oggi che sono mutate rispetto al 1974 sia per l’evoluzione tecnologica sia per la composizione demografica. Ci siamo anche permessi di indicare una strada: inserire una franchigia per le prestazioni minori, per quelle meno costose, in modo da garantire quelle importanti. Se tutti, fatta salva la fascia di povertà, pagassero i 10 euro di un farmaco, mezzo miliardo di euro entrerebbe ogni volta nelle casse del SSN e potrebbe essere destinato ad assumere, ad acquistare nuove strumentazioni, a ridurre le liste d’attesa. E in un giorno quanti sarebbero? E questo senza intaccare il principio universalista, ovvero del diritto sacrosanto di ciascuno di accedere gratuitamente alle cure per il semplice fatto di esistere. Anzi, proprio per garantirlo davvero. Con le disfunzioni attuali il sistema diventa di fatto a pagamento e, poco male per chi se lo può permettere, malissimo per chi non può aspettare la lista d’attesa.
Ora, a voler trarre il bene anche dal male, l’emergenza coronavirus ha fatto capire a tutti che la salute è il bene primario. Superata l’emergenza, sarebbe anche ora di metter mano al SSN con alcune riforme migliorative, abolendo il numero chiuso a medicina, potenziando l’Università e la ricerca, togliendo il limite d’età a quei medici che sono in grado di lavorare, assumendo personale paramedico, razionalizzando la rete ospedaliera, incrementando quella della cronicità, della lungodegenza e dell’assistenza domiciliare. Insomma destinando più soldi alla salute. Che, in fin dei conti, è un risparmio.