Angelo Fortunato Formiggini, “Italia, Italia, Italia”

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Un italiano di religione ebraica, sedicente “modenese di sette cotte” che si è ucciso per restare italiano. Una ferita, un vulnus nella storia del nostro paese che non si cicatrizzerà più. Il terribile peso del passato che non passa.

 

70 anni fa la spaventoso episodio della “la notte dei cristalli” quando in Germania Sinagoghe e negozi di tedeschi ebrei furono distrutti o incendiati ed il tragico suicidio dell’editore ebreo Angelo Fortunato Formiggini gettatosi dalla Ghirlandina il 29 novembre 1938 in segno di protesta per la promulgazione delle infami leggi razziali imposte da Mussolini per non restare indietro nella campagna antisemita già avviata nel 1935 in Germania con le leggi di Norimberga.

Venerdì scorso, alla fondazione Marco Biagi, in occasione di una commemorazione della vita e delle opere  di Formiggini promossa dal prof. Ernesto Milano, autore di una biografia del geniale editore pubblicata da Luisè Editore, è spuntato a sorpresa l’unico testimone ancora in vita del tragico volo dalla torre campanaria di Modena: il professor Franco Bisi, noto intellettuale, ex docente di lettere classiche, cultore di storia locale e poesia dialettale.

Il prof. Bisi all’epoca del suicidio di Formiggini aveva 18 anni, era un convinto antifascista al pari del padre socialista laico.

In quel tragico 29 novembre, Bisi passeggiava insieme ad un amico in prossimità di piazzetta Tassoni: i due hanno sentito uno spaventoso tonfo, hanno visto il corpo martoriato di Formiggini: aveva le braccia sotto il corpo e la bocca, ben visibile, toccava il terreno, con i piedi in una strana posizione contorta.

Lo sconcerto dei passanti fu enorme: tanti modenesi a passeggio in centro assistettero al terribile spettacolo ed accorsero sconvolti da quel tonfo inaudito.

Nessuno sapeva chi fosse l’uomo che aveva posto così fine alla sua esistenza perché voleva continuare ad essere italiano decidendo di morire però nella sua amata Modena, città natale.

Presto i vigili allontanarono i passanti ed i curiosi coprendo i miseri resti mortali con una mantellina. Naturalmente la censura del regime totalitario fascista non fece trapelare nulla sull’accaduto: tutti i giornali furono costretti a rifiutare la pubblicazione di un necrologio seppure dietro pagamento.

La moglie Emilia Santamaria riuscì ad evitare che le esequie si svolgessero durante la notte stessa come richiedeva la questura: il funerale ebbe luogo infatti il giorno successivo durante una fredda mattina del 30 novembre con tumulazione al cimitero di San Cataldo con il feretro “scortato” da una trentina di poliziotti in divisa, incaricati di sedare eventuali tumulti ed annotare nei taccuini i nomi degli intervenuti.

Solo 5 erano gli amici ed i parenti tutti accorsi a tributare l’ultimo omaggio ad un editore, scrittore e umorista tra i più geniali del novecento.

Tutti increduli per il tragico suicidio che resterà per sempre un vulnus nella storia di questo paese e soprattutto nella storia di Modena.

La notizia del decesso naturalmente cominciò a circolare clandestinamente: solo la stampa antifascista all’estero rivelò il nome del suicida sottolineando che “il fatto non ha potuto comparire sui giornali italiani dove le leggi razziste impediscono di dar notizia dei decessi degli ebrei”.

Achille Starace, segretario del partito fascista commentò cinicamente con una feroce battuta, cartina di tornasole di un regime infame

“E’ morto da vero ebreo senza nemmeno comprare il veleno per uccidersi”.

 

La biografia

Formiggini, nato a Collegara di Modena nel 1878, consegue la laurea in legge e nel 1906 si trasferisce a Roma per seguire  nell’ateneo romano le lezioni di filosofia del filosofo Labriola. Qui conosce Emilia Santamaria, si sposa e nel 1907 torna a Bologna dove consegue una laurea in filosofia con una tesi “Sulla filosofia del ridere” copiato in seguito da Luigi Pirandello, autore fascista che vincerà il Premio Nobel sulla Letteratura. Formiggini fonda una casa editrice prima a Modena dove pubblica La Secchia e Miscellanea Tassoniana.

Si trasferisce in seguito a Genova dove pubblica la serie Biblioteca di filosofia e pedagogia, Biblioteca filosofica e letteraria e Profili. Nel 1912 esce Satyricon: primo volume dei Classici del ridere, la collezione più nota e longeva protratta fino al 1938. Durante la Prima Guerra Mondiale resta in trincea per un po’ ed infine trasferisce la casa editrice a Roma.

Nel 1918 fonda la rivista “L’Italia che scrive”, la sua creatura più amata, periodico di informazione libraria. La prima sede della casa editrice a Roma si trova in un’ala di palazzo Venezia, tragica ironia della sorte. Nel 1924 pubblica “La ficozza filosofica del fascismo” libro intimamente autobiografico. Formiggini crede nel fascismo: fu uno dei tanti  ebrei illusi ed ingannati dal fascismo, al pari di tanti milioni di italiani 

Nel 1938 esce l’immondo manifesto sulla razza, premessa delle leggi razziali che spegne per sempre il suo lieve sorriso, il gusto del suo umorismo, cifra stilistica dell’uomo e dell’editore. Da qui il disinganno feroce da Mussolini. Da qui la tragedia si consumerà presto: il 28 novembre giunge a Modena, con un biglietto di sola andata: il giorno seguente si getta dalla Ghirlandina gridando: “Italia, Italia, Italia”. Per sua volontà espressa in una lettera, dopo la fine del fascismo, il pezzo di selciato tra piazzetta Tassoni e Piazza Grande sarà poi denominata “Al tvajol ed Furmajin”: il tovagliolo di formaggino.

Un italiano di religione ebraica, sedicente “modenese di sette cotte” che si è ucciso per restare italiano. Una ferita, un vulnus nella storia del nostro paese che non si cicatrizzerà più. Il terribile peso del passato che non passa.

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