Forse per necessità e non per virtù, ma l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti e’ una riforma Alberto Venturi Debbo precisare subito che io resto favorevole al finanziamento pubblico dei partiti, con bilancio trasparente al centesimo, a disposizione di chiunque, da quello di sezione fino al nazionale , controllato obbligatoriamente da revisori esterni a partire dal livello provinciale. Ritengo infatti che i partiti siano tuttora indispensabili per la democrazia, perché garantiscono l’accesso a tutti, a prescindere dal censo, dal sesso, dalla razza e dalla religione e a tutti possono dare pari opportunità di diventare un rappresentante del popolo, così che il giudizio potrebbe basarsi esclusivamente sui meriti intellettuali e morali; cosa che non può avvenire se ci sono debiti di riconoscenza verso lobby e sponsor. L’attuale sistema personalistico basato sui comitati elettorali al ‘servizio’ di un leader, è per me strutturalmente inadeguato a garantire la democrazia, perché non è la base a scegliere il suo leader, ma è il capo che va alla ricerca di una base. Riconosco però che gli elettori sul tema si sono espressi in modo inequivocabile e sarebbe stato doveroso rispettare la loro volontà già da molto tempo.Con il decreto Letta qualcosa finalmente si muove, anche se lentamente (arriverà a regime nel 2017) e con diversi aspetti da approfondire; ad esempio, per condizionamento personale, famigliare, di territorio e di lavoro si possono verificare forme di assoggettamento e di dipendenza economica in grado di rendere nella pratica coercitivo il versamento del 2 per mille o la donazione. Penso a un comune dove la criminalità organizzata è padrona; lì anche una donazione al partito rischia di essere un pizzo.Se il decreto si tratti dell’ennesima finta o l’avvio di una serie di riforme per ridurre i costi della politica, è presto per affermarlo, ma possiamo guardare al contesto nel quale si colloca il provvedimento.Basterebbe l’enfasi di diversi ministri che non hanno resistito dal gridare ‘fatto!’ su twitter, a giustificare la speranza di una nuova stagione, vista la spinta ad attribuirsi la paternità del decreto e, suppongo, la volontà di portarlo in fondo. Invece mi richiamo al discorso di Matteo Renzi, nuovo segretario del Pd: “Il voto alle primarie è l’ultimo appello perché l’Italia recuperi fiducia e credibilità nella politica, perché il punto non è la pacificazione tra me e Berlusconi, ma tra la politica e l’Italia”. “Se alle prossime europee si va con risultati balbettanti, la responsabilità non ce l’hanno Grillo e Berlusconi, ma cadrà tutta sulla testa del Pd”. Nell’attuale organizzazione politica italiana, il Pd è l’unico grande partito, con il quale, volenti o nolenti, tutti i movimenti, le aggregazioni temporanee e i partiti più piccoli fanno i conti e si rapportano, per allearsi, per sbertucciarlo e tentare di affossarlo, per contrapporvisi in cerca di consensi. Senza il Pd oggi in Italia si sfascerebbero le istituzioni, perché il Nuovo Centrodestra è ancora in costruzione e avrebbero il sopravvento gli estremismi di M5S, Lega, antagonisti, estrema destra, tutti impegnati ad abbattere l’attuale sistema, non a riformarlo.Perciò l’ultima chiamata per il Pd, se vuole riacquistare un po’ di fiducia dei cittadini, in questo momento, è anche l’ultima chiamata per la nazione e per un’organizzazione politica dello stato che eviti drammatici sommovimenti non governabili. Io credo che l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti rappresenti perciò un passo avanti, anche se si poteva fare con maggiore coraggio e in meno tempo (trovo un po’ strumentale la posizione di Alfano che invoca l’abolizione immediata, come se lui fino ad oggi fosse stato all’opposizione). Probabilmente questo cambiamento sta nascendo spinto dalla ‘necessità’ di una situazione non più sostenibile (come avvenne con Tangentopoli), piuttosto che dalla ‘volontà’ di una casta di riformare se stessa o da una iniezione di valori etici, ma facciamo di necessità virtù e intanto cominciamo a muoverci. I Forconi stanno dimostrando che non c’è più tempo; saranno anche poche migliaia, ma sono un termometro perfettamente funzionante della temperatura sociale.
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Finanziamento pubblico dei partiti: un’araba fenice che risorge dalle proprie ceneri Gianni Galeotti La cancellazione del finanziamento pubblico ai partiti è come la riforma della legge elettorale: tutti la invocano ma nessuno di chi di dovere ha la capacità, ed evidentemente la volontà, di realizzarla.Per il finanziamento pubblico ai partiti è la stessa cosa. Nemmeno il referendum popolare, che ne ha decretato la cencellazione a furor di popolo, è bastato. Alla prova dei fatti, in Parlamento, l’eliminazione non c’è stata e anziché decretarne la scomparsa, i partiti hanno trovato l’accordo per mantenerlo, con escamotage di forma, ma senza cambiamenti nella sostanza. Anche diversi emendamenti che ne chiedevano la cancellazione sono stati rispediti al mittente, con i partiti, da destra a sinistra, uniti per difendere un istituto che invece andrebbe radicalmente riformato. E’ così che il finanziamento pubblico ai partiti, che sembrava cancellato, risorge e si materializza puntualmente come un’araba fenice. Anche l’annuncio del Premier Letta di una sua cancellazione si, ma dal 2017, assume toni puramente propagandistici e ben poco credibili. Quattro anni, nella politica di oggiAggiungi un appuntamento per oggi, incapace di prevedere anche ciò che succederà domaniAggiungi un nuovo appuntamento per domani, sono tempi siderali, abissali. E’ come ipotecare il nulla.Tanto più se questi annunci e questi tempi nascono non certo dai bisogni del Paese e dalla volontà del popolo emersa dalle urne del referendum che quel finanziamento già lo aveva bocciato, ma dal pressing sul Governo del neo segretario PD Renzi. Ma l’Italia, si sa, è il Paese dove si dimentica tutto, figuriamoci l’impegno di un politico assunto per il 2017. Questo, i politici, lo sanno bene, al punto da potersi permettere di fare i fenomeni di turno annunciandone di volta in volta e di anno anno l’abolizione, con l’aggravante di sbandierarla come proprio vessillo elettorale. Tutti sicuri che nessuno contesterà loro il fatto che il finanziamento pubblico dei partiti era già stato bocciato dal referendum popolare. Governo e Parlamento avevano solo il dovere di tradurre in pratica la volontà popolare, e quindi cancellare il finanziamento, e non certo strumentalizzarlo a fini elettorali, come invece continua tristemente ad accadere.Personalmente ritengo giusta l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, anche se, rispettandone il loro ruolo istituzionale, ritengo sarebbe sbagliato gettare, come si suol dire, il bambino con l’acqua sporca. L’alternativa non può essere quella di una deregulation, in cui vince il partito più ricco o con maggiore capacità di raccimolare risorse e vendersi bene, al di la dei contenuti.I partiti sono parte integrante del sistema democratico e della rappresentanza politica ma non possono diventare, come è successo, delle macchine mangiasoldi, capaci soprattutto di ingrassare se stessi ed i loro apparati a suon di finanziamenti pubblici distribuiti a pioggia e senza un adeguato controllo. Qui sta un altro punto. Se parte del problema è legato alla mala gestione dei finanziamenti pubblici da parte dei partiti, altra parte è connesso a chi ha legitti
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